Tounde lavorava come giornalista in Togo, sotto una terribile dittatura. Maya si batteva per i diritti umani e per i diritti delle donne in Iran. Nawid si impegnava nella lotta al cambiamento climatico in Afghanistan, prima della presa di Kabul. Attraverso il ciclo di incontri “Finestre aperte. Il mondo visto da chi fugge”, per tre martedì sera, abbiamo avuto la possibilità di ascoltare la loro storia all’ora dell’aperitivo e di guardare il mondo con gli occhi di una persona rifugiata.
Da vent’anni Popoli Insieme propone alle scuole del territorio il progetto “Finestre. Storie di rifugiati” che mette al centro dell’incontro con studenti e studentesse la testimonianza di una persona rifugiata. Ragazzi e ragazzi hanno così l’opportunità di provare a guardare alle migrazioni forzate dal punto di vista di chi le ha vissute in prima persona. Avvicinarsi a temi importanti come le migrazioni, il diritto d’asilo e l’inclusione ascoltando una testimonianza è un’esperienza dirompente: permette di cambiare prospettiva e di mettere in discussione, e quasi sempre di superare, stereotipi e pregiudizi.
Ecco perché lo scorso novembre, in collaborazione con Casetta Zebrina, abbiamo di deciso portare l’esperienza del progetto “Finestre” fuori dalla scuola con un ciclo di tre serate aperte alla cittadinanza all’ora dell’aperitivo: martedì 15, 22 e 29 novembre. Oltre ad avere la possibilità di ascoltare la testimonianza, le persone che si sono iscritte alle serate hanno sostenuto la nostra campagna Questo Natale? Torniamo a casa.
La prima finestra si è aperta martedì 15 novembre insieme a Tounde, fuggito dal Togo all’inizio degli anni 2000 e oggi cittadino italiano. In Togo lavorava come giornalista sotto una terribile dittatura, a causa della quale è stato incarcerato e torturato, fino a che non è riuscito a scappare. Tounde è uno dei testimoni storici del progetto “Finestre. Storie di rifugiati” e ha raccontato come “Dopo tanti anni, ciò che mi spinge a continuare a raccontare la mia storia è il desiderio di far conoscere più da vicino la situazione di alcuni Paesi africani, la condizione che vivono le persone rifugiate e da cosa scappano. Penso che questo sia importante per costruire l’Italia di domani, dove persone di diverse provenienze e culture possano vivere insieme senza discriminazioni e pregiudizi.” Insieme a lui abbiamo ripercorso il suo viaggio fino in Italia, con le persone che ha incontrato e che lo hanno supportato tra le tante difficoltà fino ad arrivare al ricongiungimento famigliare. Grazie al suo racconto abbiamo riflettuto sul ruolo fondamentale dell’accoglienza, sul presente e sul passato delle migrazioni forzate e sulle difficili condizioni che, in tante e in tanti, sono costretti ad affrontare ogni giorno.
La seconda finestra si è aperta martedì 22 novembre insieme a Maya, giovane donna iraniana, arrivata in Italia sei anni fa. Nonostante la pioggia battente, eravamo in tante e in tanti ad ascoltare la sua storia di coraggio. In un momento come questo, dove di Iran si legge e si scrive molto, è stato importante ascoltare la sua testimonianza e guardare alla situazione con i suoi occhi per provare ad immaginare che cosa significhi nascere e crescere in un Paese come l’Iran. “La sola cosa che mi è rimasta, dopo essere fuggita dal mio Paese, è che sono ancora viva. Arrivare qui per me è stato come un terremoto. La cosa più difficile è riuscire ad accettare che non potrò tornare a casa perché lì, io sono una criminale. Anche adesso, ogni volta che passa la polizia, il mio primo pensiero è coprirmi i capelli e controllare di essere in ordine. In Iran mi arrestavano per una ciocca fuori posto, uscivo la mattina e non sapevo se sarei tornata a casa la sera. Essere una donna, vuol dire non avere alcun diritto e abbandonare la mia casa, la mia famiglia e il mio lavoro è il prezzo che ho pagato per la mia libertà“. Maya è fuggita dall’Iran insieme a suo marito e oggi, a Padova, si fa testimone di quanto accade nella sua terra, della terribile condizione che vivono bambine e ragazze, per dare voce alla loro rivoluzione e ai loro diritti che ogni giorno vengono calpestati.
La terza e ultima finestra si è aperta martedì 29 novembre il ciclo di incontri insieme a Nawid , giovane rifugiato afghano e attivista per il clima, arrivato a Padova lo scorso anno con i corridoi aerei. A Kabul, Nawid studiava e lavorava fino a che la città non è caduta nelle mani dei Talebani e, grazie alla sua collaborazione con un ONG internazionale, è riuscito a mettersi in salvo e lasciare la città. Insieme a lui abbiamo potuto vedere una delle peggiori conseguenze del cambiamento climatico: la migrazione forzata. Nel mondo sono tantissime le persone, si parla di milioni che in futuro potrebbero diventare miliardi, costrette ad abbandonare la propria casa a causa di disastri climatici e siccità. Nawid ci ha raccontato come nello stesso Afghanistan, un Paese dilaniato da anni di guerra e ora dal regime talebano e dalla povertà, si intreccino ora più emergenze compresa quella climatica. Il giovane studente ci ha raccontato che chi fugge per motivi ambientali, ad oggi, non ha diritto alla protezione internazionale e si trova quindi doppiamente vulnerabile: senza una casa e senza un luogo in cui trovare protezione. Per questo è così importante fare luce su questa situazione e sul ruolo del singolo, ma soprattutto delle collettività e delle istituzioni.
Sono stati tre incontri densi di spunti di riflessione e, soprattutto, un’opportunità di ascolto e incontro. Dare la parola alle persone rifugiate, mettersi in ascolto della loro testimonianza e del loro punto di vista sul mondo è fondamentale per costruire una comunità accogliente e permette di superare pregiudizi e stereotipi, mettendosi nei panni di chi è stato costretto ad abbandonare tutto per trovare pace e libertà.
Dal Togo all’Afghanistan, passando per l’Iran, grazie a tutte le persone che hanno scelto di percorrere questo pezzo di strada insieme a noi!