L’arte della pace

Che cosa significa costruire la pace? Domenica 23 gennaio 2022 Popoli Insieme ha preso parte, insieme ad altre numerose realtà, alla Marcia per la pace di Montagnana. Promossa dalla Diocesi di Padova, l’iniziativa ha raccolto molte adesioni e, tra i momenti di musica, teatro e riflessione, uno spazio è stato dedicato anche all’ascolto della testimonianza di Rashid. Fuggito dal Pakistan e arrivato in Italia attraverso la rotta balcanica, oggi è accolto a Padova dalla nostra associazione.

A fare da sfondo all’edizione 2022 della Marcia Diocesana per la Pace di Montagnana sono state le illustrazioni dell’artista afghana Shamsia Hassani che, in quanto docente, rappresenta quanto espresso da papa Francesco nel messaggio per la pace 2022 “Educazione, lavoro, dialogo tra generazioni”. I suoi disegni sono simbolo di resistenza gentile al regime afghano, un Paese dove la pace sembra essere sempre più lontana. Proprio per segnare un’opposizione netta alla violenza e all’arte della guerra, per questa iniziativa è stato scelto il titolo: “L’arte della pace”. Oltre alle opere dell’artista afghana, sono stati esposti anche i disegni preparati da bambine e bambini delle scuole elementari, che hanno raccontato e rappresentato la pace attraverso i loro occhi.

La pace si costruisce anche attraverso l’accoglienza e l’attenzione all’altro, alla sua storia. Tra gli ospiti dell’iniziativa c’era anche Antonio Silvio Calò, che si è fatto promotore in Italia e in Europa di un modello di accoglienza diffusa in famiglia e ha raccontato la sua esperienza nel libro “Si può fare” (2021). Uno spazio è stato dedicato all’ascolto della testimonianza di Rashid, un giovane pakistano richiedente protezione internazionale, che ha preso parola nel Duomo di Montagnana di fronte ad un pubblico attento. Grazie all’operatore Nicola, che ha tradotto la sua testimonianza, Rashid ha potuto raccontare la sua esperienza di migrazione forzata e le violazioni vissute sulla rotta balcanica, nel tentativo di arrivare in Italia, in cerca di pace e libertà.

Quando io e i miei due amici abbiamo lasciato il Pakistan non sapevamo che, in poco tempo, il nostro viaggio sarebbe diventato così difficile. Molte delle strade che abbiamo attraversato a piedi nel bosco erano davvero pericolose. Una volta ci siamo trovati a scalare una montagna per quasi venti ore, senza mai smettere di camminare anche con la pioggia e con la neve. La situazione ad un certo punto era diventata così disperata che non avevamo più nulla da bere, né da mangiare. Una volta raggiunti i Balcani, abbiamo vissuto la parte peggiore del nostro viaggio. L’incertezza ci ha accompagnato passo dopo passo. Abbiamo avuto tanta paura della morte e, ancora peggio, di essere catturati dalla polizia. Sono così tante persone che abbiamo incontrato lungo il nostro viaggio che oggi non ci sono più.

A piedi abbiamo attraversato Iran, Turchia, Bosnia, Grecia e Slovenia. In questi Paesi abbiamo avuto la fortuna di incontrare anche persone pronte a darci una mano per continuare il nostro viaggio. Ci hanno donato vestiti, cibo e anche ospitalità per la notte. Dopo tutta la paura che avevamo avuto, trovare queste persone lungo la nostra strada ci ha dato speranza. Ci ha fatto sentire ancora umani.

Il nostro unico obiettivo era riuscire a raggiungere l’Italia sani e salvi, per continuare ad essere in grado di provvedere alle nostre famiglie. Al momento in Pakistan la situazione è davvero difficile e loro fanno affidamento su di noi. Dopo mesi di viaggio finalmente siamo arrivati in Italia, però ancora oggi non posso dimenticare i compagni di viaggio che abbiamo perso lungo la strada e che non sono riusciti ad arrivare a destinazione. Un giorno siamo stati inseguiti dalla polizia e, nel panico generale, abbiamo tutti cominciato a correre su sentieri di montagna, pieni di ostacoli. Alcuni dei nostri compagni sono scivolati e caduti in un burrone, non li abbiamo più rivisti. Per me e gli altri è stato il momento peggiore della nostra vita: non abbiamo potuto salvarli, perché tutti eravamo nella stessa situazione e stavamo scappando dalla polizia.

Nonostante tutto quello che abbiamo visto nello scorso anno, ora che siamo qui abbiamo un po’ più di coraggio e speranza, perché sappiamo di essere fortunati ad avercela fatta e a poter vivere finalmente in pace e in un posto sicuro. Siamo veramente grati di essere stati accolti e di aver trovato qui a Padova così tanta umanità.

Questa giornata è stata per tutte e tutti un’occasione di riflessione su quanto sta accadendo nel mondo, sulle questioni aperte che devono continuare a interrogarci, ma anche su ciò che concretamente possiamo fare nel nostro piccolo ogni giorno per costruire la pace. Le parole di Don Tonino Bello, che ha introdotto la giornata, ci indicano la strada:

La pace non è un dato, ma una conquista. Non un bene di consumo, ma il prodotto di un impegno. Non un nastro di partenza, ma uno striscione di arrivo. La pace richiede lotta, sofferenza, tenacia. Esige alti costi di incomprensione e di sacrificio. Rifiuta la tentazione del godimento. Non tollera atteggiamenti sedentari. Non annulla la conflittualità. Sì, la pace prima che traguardo, è cammino. E, per giunta, cammino in salita. Vuol dire allora che ha le sue tabelle di marcia e i suoi ritmi, i suoi percorsi preferenziali ed i suoi tempi tecnici, i suoi rallentamenti e le sue accelerazioni. Forse anche le sue soste

La pace è quindi qualcosa a cui tendere e da costruire giorno dopo giorno e, soprattutto, che si costruisce insieme. Ascoltare le parole di chi ha vissuto sulla propria pelle la migrazione forzata e che è fuggito dal suo Paese in cerca di pace, così come di chi promuove l’accoglienza, è fondamentale per continuare a immaginare una comunità più inclusiva e accogliente, dove tutte le persone sono importanti e hanno diritto a vivere in pace e libertà.

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