Glielo avevamo detto, avevamo cercato di comunicarglielo con i nostri mezzi e a gesti. Speravamo avesse capito, S., che doveva farsi trovare in ufficio con il cibo per il buffet condiviso.
S. è in Italia da meno di un mese, parla solo Urdu e pochissimo inglese, la comunicazione con lui non risulta sempre semplice.
S. in ufficio c’era, ed era anche puntuale. Però era solo, leggero in sella alla sua bici.
Dov’è il cibo, S.?
Inshallah domani lo porto. Vi invito a cena tutti, domani.
Da subito, non gli era piaciuta l’idea di limitarsi alla preparazione di una sola portata. Lui che ama sbalordire gli ospiti con mille prelibatezze speziate, a volte decisamente piccanti, storceva il naso all’idea di presentarsi con un piatto soltanto. Adesso però era chiaro cosa era sfuggito a S. : che oggi e domani non erano interscambiabili, che l’invito a cena per l’indomani non poteva sostituire l’aperitivo in orto che avevamo organizzato per quella stessa sera!
Per fortuna, con qualche rapido colpo di telefono, si è sostituito il cuoco pakistano con uno senegalese e l’aperitivo è riuscito lo stesso. Tutti hanno apprezzato i sapori, nessuno -operatori esclusi- è venuto a sapere che mancava la rappresentanza gastronomica del Pakistan.
S. però non si dava pace: compreso piano piano il fraintendimento, sembrava non perdonarsi l’errore. “Domani sarete tutti ospiti miei, vi preparo almeno quattro o cinque piatti, inshallah”, continuava a ripetere. Più assaporava i cibi che gli altri avevano cucinato, meno riusciva a mandar giù l’idea di non aver capito quali erano gli accordi. “Tranquillo, S., non fa niente!”: ripeterglielo era inutile.
L’indomani noi operatori eravamo lì, alle otto di sera, mentre ancora le pentole fumanti erano posate sui fornelli e l’impasto per il “roti”, il pane pakistano, sul tagliere. Appena varcata la soglia della porta, ci siamo seduti e S. ha dato sfoggiato le sue doti culinarie: riso speziato con pollo, polpette di carne e di patate, spezzatino di agnello piccante, salsa di yogurt e menta, cetrioli freschi come contorno e pane integrale fatto in casa per radunare ogni sughetto. Per dolce, una macedonia con yogurt e una crema di riso speziata. A chiudere il lauto pasto, rigorosamente chai, il the con latte.
Eppure in quella stanza, durante quella cena, noi operatori abbiamo trovato molto più che una tavola imbandita. Fra le quattro mura dell’appartamento aleggiava cura, dedizione, attenzione, riguardo e buon gusto nel modo in cui S. ci ha servito la cena. E c’erano gli sguardi curiosi e ammirati dei suoi compagni di casa che non si sono fatti ripetere due volte l’invito ad assaggiare.
A fine serata non erano soltanto i nostri stomaci ad essere pieni di cibo: ogni cuore godeva di un po’ di calore umano in più. Quando ripensiamo a S. in bicicletta senza alcun contenitore di cibo, a noi operatori vien da sorridere: sicuramente non aveva capito che doveva cucinare per la festa dell’Orto. Ma l’imprevisto può diventare, grazie alla curiosità e alla voglia genuina di conoscersi, un’occasione di condivisione e di crescita comune.