Come affrontare da cittadine e cittadini consapevoli il fenomeno delle migrazioni forzate? Come stare a fianco alle persone migranti e richiedenti protezione internazionale in qualità volontari? Nella prima metà di “Attraversamenti”, il nostro corso di formazione per volontari, abbiamo cercato di affrontare il tema delle migrazioni forzate da molteplici punti di vista e con il contributo di esperti relatori e relatrici.
Il titolo scelto per il primo incontro del nostro corso di formazione “Un mondo in fuga. Capire le migrazioni forzate” alla luce dei recenti avvenimenti e della fuga di più di due milioni di persone dall’Ucraina, risuona oggi ancora più attuale. Grazie ad Alessandra Morelli, esperta di migrazioni e già delegata UNHCR in Niger, corsiste e corsisti hanno potuto acquisire uno sguardo globale sulle migrazioni forzate dall’Afghanistan al Sahel, dal Venezuela al Corno d’Africa. Forte della sua esperienza sul campo nei luoghi più “caldi” del mondo, la dottoressa Morelli ha descritto le quotidianità spezzate dai conflitti, dal terrorismo e dalla crisi climatica e del moto di speranza che spinge moltitudini di persone, più di 80 milioni, ad abbandonare il proprio Paese per vivere in pace e in sicurezza.

Dopo aver ascoltato la testimonianza di una donna che, per più di trent’anni, è stata impegnata in azioni umanitarie a fianco dei rifugiati nei luoghi in cui nascono le migrazioni forzate corsisti e corsiste hanno avuto l’opportunità di ascoltare la storia di Gholam Najafi, scrittore e rifugiato afghano. Najafi è uno dei testimoni di “Finestre. Storie di rifugiati” un progetto che da quasi vent’anni Popoli Insieme porta nelle scuole di Padova e provincia con l’obiettivo di avvicinare i più giovani ai temi del diritto d’asilo, della migrazione forzata e dell’inclusione a partire dalla testimonianza di un rifugiato. Insieme a lui c’era Francesca Palmieri, referente dei progetti nelle scuole per Popoli Insieme, che ha raccontato a corsisti e corsiste il senso del progetto educativo e il forte impatto che ha su studenti e studentesse che possono interrogarsi e superare paure e pregiudizi a partire dall’ascolto e l’incontro. Ascoltare una storia di migrazione forzata da chi l’ha vissuta sulla propria pelle, infatti, permette a chi ascolta di immedesimarsi nel racconto, ma soprattutto di comprendere che chi fugge non è solo un “migrante”, bensì una persona con sogni e progetti. Quella di Gholam Najafi è la storia di un uomo che ha abbandonato il suo Paese dopo aver perso il padre quando era appena un bambino e che oggi, a trent’anni, ha trovato nella scrittura il modo di raccontare e rielaborare la sua storia e di tenere insieme le sue “due famiglie”, quella italiana e quella afghana.

Cos’è il diritto d’asilo e come si declina a livello europeo e nazionale? Qual è la differenza tra “migrante volontario” e “migrante forzato”? L’avvocato Giovanni Barbariol, socio ASGI ed esperto di migrazione, ha introdotto corsiste e corsisti al vasto tema del diritto d’asilo a partire dalla Costituzione Italiana e dalla Convezione di Ginevra del 1951, che per la prima volta ha definito lo status di rifugiato che introduce il principio di non respingimento. Barbariol ha inoltre descritto i diversi tipi di protezione internazionale, con un focus su come sono cambiati i tipi di protezione garantiti in Italia dal 2018 ad oggi. Largo spazio è stato dedicato anche ai fondati motivi di persecuzione che definiscono lo status di rifugiato tra cui razza, religione, nazionalità, appartenenza a un determinato gruppo sociale, opinione politica e che si basa su qualcosa di soggettivo, il timore della persecuzione, ed un aspetto oggettivo ovvero la fondatezza del timore. Grazie all’avvocato Barbariol, corsiste e corsisti hanno acquisito strumenti utili per inoltrarsi nel labirinto del diritto, tra contraddizioni, violazioni di principi e il dovere della tutela di diritti umani.

Se provi a bloccare il corso d’acqua con un bastone, la corrente non si fermerà, ma troverà altre strade. Lo stesso vale con le persone: se non possono arrivare in Europa o in Italia in modo sicuro e legale, troveranno altre strade
per farlo” (G. Barbariol)
Per ottenere la protezione internazionale è necessario farne richiesta. Chi può richiedere questo tipo di protezione? Quali sono i requisiti necessari e cosa prevedere l’iter giuridico? La quarta serata del nostro corso di formazione ha visto nuovamente protagonista Giovanni Barbariol, questa volta in dialogo con Giorgio Romagnoni, già operatore legale presso il Centro Astalli di Trento. La richiesta di protezione internazionale, infatti, oltre ad essere un procedimento legale e burocratico che prevede alcuni passaggi fondamentali ed eventualmente l’accoglienza all’interno del sistema di accoglienza italiano, ha a che fare con la storia e con il vissuto delle persone che cercano protezione. Giorgio Romagnoni ha condiviso la sua esperienza di operatore legale, ripercorrendo attraverso i suoi disegni le storie delle persone che ha incontrato, con tutte le difficoltà ma anche la bellezza di questo lavoro fatto di ascolto, fiducia e relazione. L’incontro e il dialogo tra queste due prospettive, ci ha permesso di capire più da vicino che cosa significa accompagnare le persone in questo percorso che, benché pieno di cavilli e burocrazia, riguarda prima di tutto la persona, la sua storia e il suo diritto alla protezione.

Chi sono le persone che fanno richiesta di protezione internazionale in Italia? Quali sono le rotte migratorie che percorrono? Il quinto incontro di “Attraversamenti” ha visto come relatrice Silvia Maraone, cooperante in Bosnia per IPSIA, che ha visto nascere quella che oggi è conosciuta come la “rotta balcanica”. Ad attraversare questa rotta nel tentativo di raggiungere l’Unione Europea sono migliaia di giovani uomini e famiglie con bambini in fuga da Afghanistan, Pakistan, Iran, Iraq e altri Paesi con passaporti deboli e che quindi non permettono loro di spostarsi in altro modo, se non a piedi e seguendo le indicazioni dei trafficanti. Chi arriva in Bosnia, ha raccontato Maraone, tenta il game per superare le frontiere. In questo “gioco” uomini e donne attraversano boschi e fiumi, rischiando e spesso perdendo la vita. A questo, si aggiungono i continui respingimenti violenti per mano della polizia. La rotta balcanica è una rotta chiusa e per questo in Bosnia si sono creati diversi campi formali e informali dove le persone restano in attesa di proseguire il loro viaggio. Si tratta quindi di una situazione di stallo per queste persone che non riescono a raggiungere i Paesi Schengen e arrivano a tentare “il gioco” fino a 30 volte. La volontaria di IPSIA Claudia Coladonato ha fatto luce sulla condizione psicologica delle persone che attraversano la rotta e su quanto sia importante favorire momenti di aggregazione, relazione e supporto. Tutto questo accade a poche chilometri dai nostri confini nazionali ed è una realtà che ci tocca da vicino, anche se spesso preferiamo non vederla.

Solo nel 2021 sono state 1.600 le persone che hanno perso la vita nel tentativo di raggiungere l’Europa attraversando un’altra rotta, quella del Mediterraneo centrale. Da quasi trent’anni il mar Mediterraneo è diventato una vera e propria frontiera d’acqua che migliaia di persone hanno tentato di attraversare, alcuni ci sono riusciti, ma troppi non ce l’hanno fatta o sono stati catturati e riportati in Libia. Relatori della sesta serata del nostro corso sono stati Pietro Bartolo, europarlamentare e medico di Lampedusa e Beppe Caccia, socio fondatore e capomissione di Mediterranea Saving Humans. Grazie a Beppe Caccia, corsiste e corsisti hanno potuto avere una panoramica sulle rotte migratorie che attraversano il Mediterraneo e approfondire le convenzioni e le leggi che regolano il soccorso in mare, ma anche il ruolo delle politiche di esternalizzazione delle frontiere da parte dell’Unione Europea e della criminalizzazione delle ONG nella crisi umanitaria che da anni si consuma nel Mediterraneo e sul suolo libico. Collegato da Strasburgo, Pietro Bartolo ci ha raccontato il lavoro che sta facendo come europarlamentare, a partire dal suo bisogno di farsi portavoce di quanto visto a Lampedusa come medico. Ha condiviso con corsisti e corsiste le testimonianze delle persone che ha curato e ascoltato, ma anche il dolore e la solitudine che ha provato nel vedere il suo mare tinto di sangue e morte. La speranza dei due relatori, che è anche la nostra, è che non ci sia più bisogno di una nave come la Mare Jonio per salvare chi cerca di attraversare il Mediterraneo, ma che si possano trovare risposte politiche e umane a quella che, ormai, non è più un’emergenza. Con il loro lavoro, entrambi rendono questa speranza più possibile.

(G. Caccia)

un mare di vita”
(P. Bartolo)
Grazie di cuore ai relatori e alle relatrici che hanno condiviso con le corsiste e i corsisti, presenti in sala e collegati da casa, le loro testimonianze e le loro conoscenze. Siamo sicuri che, incontro dopo incontro, il bagaglio di strumenti e di nuove consapevolezze per stare accanto alle persone migranti, rifugiate e richiedenti protezione internazionale si stia facendo sempre più ricco.
I nostri “attraversamenti” continuano, ogni martedì, fino al 5 aprile!