Dal Gambia a Padova: la storia di Omar

Avevo appena 18 anni quando sono partito dal Gambia; in tanti sono partiti, anche più giovani di me.

Sono nato in una striscia di terra circondata dal Senegal, dove per più di vent’anni le persone non hanno conosciuto alcun rispetto dei diritti umani a causa del presidente-dittatore Jawara. Per chi non si arrendeva ai soprusi la vita era molto difficile: torture, pestaggi e carcere durissimo erano all’ordine del giorno.

Nel 2016 la situazione è diventata insostenibile e nonostante l’insediamento del nuovo governo di opposizione nel 2017, che prometteva un nuovo impegno sul rispetto dei diritti umani, la situazione è rimasta molto difficile.

Io in quei mesi stavo già attraversando il continente africano, in viaggio verso l’Europa.

Sono arrivato in Libia e poco dopo sono riuscito a salire su un barcone, insieme a tanti altri come me. Una volta arrivato in Sicilia, dopo essere stato identificato, mi sono ritrovato su un bus diretto a La Spezia.

Ripercorrere la propria storia, dare un senso logico a quanto si è vissuto, è difficile, ma per richiedere la  protezione internazionale è necessario. Grazie all’aiuto di un’operatrice del Centro di accoglienza straordinaria e ad un interprete – io ancora non sapevo bene l’italiano – ho rimesso insieme i pezzi del mio viaggio e ho raccontato della situazione a casa e delle violazioni subite alla Commissione Territoriale.

Non è stato facile, ma alla fine ce l’ho fatta.

Prima di arrivare di fronte alla Commissione, ho trascorso alcuni mesi nel centro di accoglienza e circa un anno dopo il mio arrivo, una volta ottenuta la protezione, ho potuto iniziare un nuovo capitolo della mia vita.

Ho viaggiato per l’Italia in cerca di un lavoro, per essere indipendente. Ho lavorato nei campi in Sicilia, vicino a Marsala e poi mi sono trasferito in Spagna.

La paura di restare senza nulla, di non avere rinnovata la protezione e non riuscire a trovare un lavoro nel frattempo è una preoccupazione sempre presente.

C’è la costante sensazione di essere in attesa, senza nessuna sicurezza. Una sensazione che mi accompagna da quando ho lasciato casa mia, per raggiungere l’Europa.

Sono arrivato a Padova nel 2020 e il Covid mi ha costretto qui, ma non avevo dove andare né soldi per mantenermi.

Ho sentito parlare di Popoli Insieme e un martedì sera mi sono presentato allo sportello, per chiedere se avessero un posto letto per me.

Sono stato accolto e da qualche mese vivono insieme ad altri ragazzi con storie simili alla mia, alcuni sono del Gambia come me.

Ogni settimana partecipo a un corso di italiano per migliorare con la lingua, faccio colloqui settimanali con l’operatrice di Popoli Insieme che mi segue nella ricerca lavoro e ho avuto anche la possibilità di conoscere alcuni ragazzi italiani e di passare del tempo insieme a loro.

Una volta siamo andati a ripulire una spiaggia! Mi ricordo che mi sono sentito felice, era tanto tempo che non accadeva… è stato bello rivedere il mare anche se diverso da quello del mio Paese!

La situazione in Gambia, malgrado i miglioramenti dovuti all’insediamento del nuovo presidente, è tuttora molto difficile. Nell’indice dello sviluppo umano il Gambia si posiziona agli ultimi posti, tra i Paesi più poveri del mondo. La garanzia dei diritti umani, inoltre, è ancora un tema spinoso.

Questa situazione di instabilità e di mancanza di libertà ha portato Omar, e con lui migliaia di altri gambiani, ad abbandonare il proprio Paese in cerca di un futuro diverso.

Il viaggio attraverso l’Africa e il Mediterraneo è esperienza comune a tutti, come anche le procedure burocratiche per la richiesta di protezione internazionale.

Chi vuole iniziare questa procedura diventa un “richiedente protezione internazionale” e, automaticamente, può soggiornare legalmente sul territorio italiano in un centro di accoglienza fino alla fine della procedura legale. Per ricevere una qualche forma di protezione il richiedente deve aspettare di essere convocato dalla Commissione Territoriale che ascolta la sua storia,  la analizza e valuta se la persona abbia diritto o meno a una delle tre forme di protezione:

  • status di rifugiato –  permesso di soggiorno di cinque anni, con rinnovo ad ogni scadenza (fondato timore di essere perseguitato nel  Paese di origine)
  • protezione sussidiaria – permesso di soggiorno di tre anni, con rivalutazione da parte della Commissione per il rinnovo (rischio di subire un danno grave ritornando nel proprio Paese)
  • protezione speciale – permesso di soggiorno della durata di due anni, convertibile in permesso di soggiorno per lavoro (rischio di subire violazioni o tortura nel Paese di origine)

Non a tutti i richiedenti viene concessa una forma di protezione e, per questo, hanno diritto a fare ricorso in Tribunale.  Alcuni richiedenti protezione internazionale, ma soprattutto chi ottiene una forma di protezione, ha la possibilità di accedere al Sistema integrato di accoglienza e protezione: una forma di seconda accoglienza diffusa sul territorio, con progetti finanziati dai singoli comuni.  

Il circuito di accoglienza istituzionale, purtroppo, non è sempre sufficiente a garantire inclusione e autonomia: Omar, che oggi è accolto da Popoli Insieme, si è trovato senza lavoro e senza un luogo dove stare. Ora ha la possibilità di programmare il suo futuro e può contare sul sostegno di operatori e volontari.

Scopri come sostenere i progetti di accoglienza e i percorsi di inclusione e autonomia per persone rifugiate come Omar.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *