Le frontiere delle migrazioni

Ogni giorno sono migliaia le persone che cercano di raggiungere l’Europa, in fuga da guerra e violenza, mettendo a rischio la propria vita. Le persone costrette ad abbandonare la propria casa, nel mondo oggi sono più 100 milioni. Nell’ambito del nostro corso di formazione per volontari “Attraversamenti”, stiamo affrontando il tema delle migrazioni forzate da diversi punti di vista e, gli ultimi due incontri, si sono concentrati in particolare sulle frontiere delle migrazioni più vicine all’Italia: il mar Mediterraneo e la rotta balcanica.

Da 19 anni il corso di formazione per volontari nei servizi a persone migranti e richiedenti protezione internazionale, promosso da Popoli Insieme, è pensato per offrire nuovi strumenti e prospettive per comprendere il complesso fenomeno delle migrazioni forzate e anche per stare accanto a chi arriva nelle nostre comunità in un eventuale attività di volontariato.

Il corso si sta svolgendo in modalità duale: sono oltre 100 gli iscritti che, in presenza presso l’Auditorium del Centro Antonianum e collegati da casa, hanno l’opportunità di approfondire le cause delle migrazioni forzate, le rotte che attraversano per arrivare in Europa, l’iter burocratico che affrontano per richiedere la protezione internazionale e anche per fare luce su alcuni fenomeni particolari come la tratta degli esseri umani e lo sfruttamento lavorativo. Una parte del corso è dedicata al ruolo fondamentale dei volontari e delle volontarie nell’accoglienza di queste persone,

Uno sguardo sul mondo

Ad aprire il nostro corso di formazione, martedì 31 gennaio, e a donarci un primo sguardo sul fenomeno delle migrazioni forzate sono stati padre Camillo Ripamonti, presidente del Centro Astalli e Nello Scavo, giornalista e reporter di “Avvenire”.  

Ripamonti ha raccontato a corsiste e corsisti chi sono oggi le persone che fuggono e da cosa fuggono. Principalmente, chi abbandona il proprio Paese lo fa per mettersi al sicuro: nel 2021, nel mondo, c’erano già 46 conflitti armati in corso. Lavorando al Centro Astalli di Roma, a stretto contatto con le persone rifugiate, Ripamonti ha avuto modo di ascoltare le storie di uomini e donne che sono stati costretti ad abbandonare tutto e che qui, dopo viaggi infernali e non di rado dopo aver subito torture, cercano solo la possibilità di ricostruire la propria vita in pace e sicurezza. Insieme a lui abbiamo riflettuto anche su come queste persone vengono accolte, sottolineando quanto, purtroppo, in Italia il sistema di accoglienza offerto non abbia l’obiettivo di includere davvero le persone richiedenti protezione internazionale e rifugiate. Secondo lui, infatti, l’accoglienza dovrebbe essere strettamente legata al concetto di inclusione: “dovremmo smettere di guardare al fenomeno delle migrazioni solo attraverso una lente securitaria ed emergenziale” ha sottolineato Ripamonti.

Grazie a Nello Scavo, abbiamo potuto invece guardare al fenomeno delle migrazioni da un punto di vista globale e con gli occhi di un inviato sul campo. Negli ultimi anni, infatti, Scavo ha lavorato molto nei “luoghi caldi” delle migrazioni, studiando da vicino le cause e le condizioni da cui fuggono migliaia di persone sono costrette a fuggire, per trovarsi poi in condizioni dove i diritti umani vengono sistematicamente violati. Il giornalista ci ha raccontato in particolare di ciò che ogni giorno accade in Libia nei campi di detenzione e tortura, sottolineando la responsabilità dell’Italia e dell’Europa nel protrarre questa situazione. Ci ha riportato infatti, con report, dati e statistiche accertate, come l’Unione Europea stia finanziando la costruzione di muri e barriere per tenere fuori dai confini europei migliaia di persone in fuga da Paesi come l’Afghanistan o l’Iran.  “Prima o poi l’Italia e l’Europa dovrà fare i conti con la propria responsabilità in questa dinamica, perché già oggi si sta incastrando nelle proprie stesse contraddizioni” ha concluso Scavo.

Mare nostro?

Di queste contraddizioni abbiamo parlato anche qualche settimana dopo insieme a Pietro Bartolo, medico di Lampedusa ed europarlamentare e Beppe Caccia, capo missione di Mediterranea Saving Humans. A pochi giorni dal naufragio di Cutro e dall’ennesima tragedia che ha colpito donne, uomini e bambini a pochi metri dalla nostra costa, corsiste e corsisti hanno avuto l’opportunità di approfondire il diritto del mare, le leggi che regolano il salvataggio in mare e il ruolo delle politiche migratorie europee e italiane nella crisi umanitaria che da anni investe il mar Mediterraneo, ad oggi la rotta migratoria più letale al mondo.

Collegato da Bruxelles, Bartolo ha condiviso con corsiste e corsisti la sua preziosa testimonianza di medico a Lampedusa sottolineando come, nell’apprendere del naufragio accaduto sulle coste calabresi, abbia provato lo stesso sgomento provato il 3 ottobre 2013 a Lampedusa. Nel racconto di Bartolo c’erano memorie di esperienze estremamente dolorose e toccanti e storie di persone che è riuscito a salvare e che oggi vivono felici, ma anche di tutte quelle persone che purtroppo non ce l’hanno fatta e che non hanno avuto l’opportunità di trovare la sicurezza che disperatamente stavano cercando.  

Dopo quello che ha vissuto sul campo, Pietro Bartolo ha sentito il dovere di provare a cambiare le politiche che hanno trasformato il suo mare in un cimitero ed è stato eletto come europarlamentare nel 2019. Tra le altre cose, ci ha riportato alcuni aspetti del suo lavoro, sottolineando quanto l’attuale sistema europeo preveda dei canali legali insufficienti per la protezione internazionale, e allo stesso tempo vede miliardi investiti per delegare a Paesi terzi la gestione della migrazione in uscita, sebbene non rispettino agli standard dei diritti umani. Il suo impegno è per l’Europa che vorrebbe, “che è quella che siamo stati con 5 milioni di ucraini l’anno scorso, un’Europa che accoglie“.

Beppe Caccia, collegato dalla Sicilia, le persone migranti le incontra in una fase diversa del loro viaggio: in mare aperto. Caccia ha introdotto i corsisti e le corsiste alle convenzioni e leggi che regolano il soccorso in mare raccontandoci anche cosa sono le zone SAR (Search and Rescue). Grazie al suo contributo, corsiste e corsisti hanno potuto comprendere le conseguenze delle politiche migratorie italiane sulla situazione di crisi umanitaria nel Mar Mediterraneo, in particolare dopo l’accordo Italia – Libia firmato nel 2017, un chiaro esempio di esternalizzazione delle frontiere. Caccia ha sottolineato quanto il ruolo delle ONG sia fondamentale nel salvare vite umane nel momento in cui, in mare, non ci sono operazioni di soccorso com’era stata ad esempio “Mare Nostrum”. Dal 2018, però, le ONG sono state fortemente criminalizzate e anche l’ultimo decreto-legge approvato in renderà ancora più difficile riuscire a salvare chi affronta il mar Mediterraneo nella speranza di raggiungere l’Europa. Caccia ci ha ricordato che legge del mare è regolata da trattati, sì, ma è anche qualcosa di ancestrale e umano: “prima si salva, poi si discute“, ha sottolineato.

La strada è chiusa

Un’altra frontiera delle migrazioni, altrettanto pericolosa e letale anche se di terra, è la cosiddetta “rotta balcanica”, composta in realtà da più rotte. Ce ne ha parlato con Silvia Maraone, coordinatrice di IPSIA in Bosnia ed esperta di migrazioni, da oltre vent’anni testimone del cambiamento dei flussi migratori che attraversano i Balcani e della costante e progressiva esternalizzazione delle frontiere da parte dell’Unione Europea.

La rotta balcanica, che parte dalla Turchia e arriva fino a Trieste, per un breve periodo nel 2015 è diventata un passaggio legale e sicuro per entrare in Europa. Quell’anno, infatti, è ricordato come l’anno più tragico per i rifugiati e un momento storico che ha visto l’Europa impegnarsi a trovare una soluzione per mettere in sicurezza le migliaia di persone in fuga da guerra, violenza e persecuzioni. Per qualche mese le persone sono potute arrivare in sicurezza e legalmente, riuscendo a raggiungere l’Europa senza rischiare la vita. Questo solo fino al 2016, quando l’Europa ha siglato un accordo con la Turchia e, a quel punto, la rotta balcanica non è più stata percorribile. O meglio, non è più stata percorribile in modo legale e sicuro. Anche in questo caso, si tratta di esternalizzazione delle frontiere volta a fermare i flussi migratori che, però, “sono come l’acqua nei vasi comunicanti: se cala da una parte, risale dall’altra. La migrazione cambia e si sposta continuamente, e non ci sono muri o fili spinati che possono fermarla” ha sottolineato Maraone.

Ecco perché nonostante i muri, i fili spinati, i respingimenti violenti della polizia, le persone che riescono a lasciare la Turchia e la Grecia a piedi tentano di attraversare la rotta balcanica e arrivare a Trieste. “Death or Europe”, “morte o Europa”: questa è una frase scritta sul muro in un campo di transito informale in Serbia e che riassume ciò che spinge queste persone a rischiare tutto pur di portare a termine il loro lungo viaggio. Maraone ha raccontato che tante delle persone che incontra ogni giorno a Bihac e nel campo di Lipa sarebbero disposte a rifare tutto il viaggio da capo, piuttosto che fare ritorno al loro Paese. Una volta nei Balcani, queste persone provano il “game”, che è tutto fuorché un gioco, ma un percorso ad ostacoli tra confini, boschi, respingimenti violenti da parte della polizia e il pericoloso di morire annegati attraversando un fiume.

Nel 2022, sebbene non abbia la stessa attenzione mediatica del mar Mediterraneo, questa rotta ha visto il flusso del 136% in più rispetto all’anno precedente. In Italia di rotte di terra non se ne parla mai abbastanza, perché sono poco monitorabili e non è facile avere un conteggio preciso di quante persone le attraversano ogni giorno, né di quante persone perdono la vita nel tentativo di attraversarle.

Grazie a questi incontri e alle testimonianze di chi si impegna ogni giorno a fianco di chi fugge da guerra, violenza e persecuzione, corsiste e corsisti hanno potuto comprendere quanto il fenomeno delle migrazioni forzate sia complesso e quanto sia fondamentale essere informati e consapevoli di ciò che accade ad un passo dai nostri confini. Questo non solo per capire il ruolo fondamentale delle politiche migratorie italiane ed europee nel causare una situazione di continua emergenza, ma anche per provare a guardare al mondo con gli occhi di chi fugge e avere strumenti utili per stare accanto a chi arriva nelle nostre città in cerca di pace, sicurezza e libertà. Nonostante la complessità e la drammaticità delle situazioni riportate, infatti, nelle parole dei relatori e delle relatrici c’è sempre stata speranza e un forte invito a impegnarsi in prima persona e ad attivarsi per garantire diritti e dignità alle persone migranti, rifugiate e richiedenti protezione internazionale.

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